Jean-Michel Jarre torna, ad un anno di distanza dal disco ambientale ‘Amazônia’, realizzato per il grande fotografo brasiliano Sebastião Salgado, con un concept album dedicato all’opera di Pierre Henry, il compositore francese, che, insieme a Pierre Schaeffer ha sviluppato il concetto di “musica concreta” al Groupe de Recherches Musicales di Parigi di cui lo stesso Jarre fu allievo.
La “musica concreta” nasceva dall’impiego di suoni prelevati dalla realtà e rimaneggiati con l’ausilio di nastri, filtri e mixer in trame che spesso sfruttavano i primi sistemi di spazializzazione quadrifonici e ottofonici, una sperimentazione che si svolgeva, negli anni ’50, anche in Germania presso lo Studio di Musica Elettronica della Radio WDR (Westdeutscher Rundfunk) di Colonia di cui facevano parte anche Karlheinz Stockhausen o Iannis Xenakis. Quindi non si tratta di una novità, ma dell’applicazione all’interno della popular music e attraverso una tecnologia ad alta diffusione di un concetto sviluppato dalle avanguardie del dopoguerra.
La vedova di Henry ha messo a disposizione di Jarre materiali sonori dagli archivi del marito, con il quale Jarre avrebbe dovuto collaborare, e questi ne ha impiegati una parte.
Jarre ha già realizzato dischi in cui ha sfruttato suoni “concreti” come “Zoolook” del 1984 dove, grazie all’impiego del campionatore Fairlight CMI II, aveva dato vita a uno dei migliori dischi della sua produzione.
Ma già con ‘Amazônia’ ha iniziato a realizzare missaggi sfruttando la tecnica binaurale che nasce dall’impiego di microfoni posizionati all’altezza delle orecchie umane e che, con l’impiego di cuffie in ascolto, permettono una percezione “spaziale” del suono, ed è su questo assunto che il mix di questo disco è stato realizzato.
Su “Oxymore”, omaggio a Henry ma anche al suo capolavoro del 1976 “Oxygene”, Jarre mette in piedi una serie di brani che escono mixati in varie modalità, binaurale, 5+1, stereo e Dolby Atmos.
Il missaggio binaurale gli ha permesso un uso sfrenato della tridimensionalità sonora che diviene un perno essenziale di questo lavoro.
Nella costruzione formale dei brani i suoni ruotano nello spazio a 360 gradi e, pur avendo una struttura armonica e ritmica che spesso si ispira all’elettronica dance post-techno, questo movimento diviene un elemento essenziale del concept compositivo esattamente come l’altezza delle note.
“Oxymore” è un disco scuro, accompagnato da inserti rumoristi e effetti che ricordano i lavori di Henry, anche quando contaminava il rock psichedelico con la sua “musica concreta” (basta ascoltare “Psyche Rock” del 1969 con Michel Colombier). Jarre realizza un lavoro decisamente interessante ma è imprescindibile il suo ascolto in cuffia in mix binaurale in audio immersivo, Dolby Atmos o in 5+1 per coglierne l’essenza.
(Alex Marenga, voto: 8½)