Sons of Kemet hanno attraversato la penisola con un tour che ha toccato anche Roma alla Casa del Jazz il 25 luglio.
Questo progetto del polistrumentista anglo-caraibico Shabaka Hutchings ha al suo attivo quattro ottimi album, l’ultimo dei quali è Black to the Future per la Impulse!, e si è fatto notare per la sua originalità, il suo impegno militante sulla questione razziale ma che pare sia giunto al suo ultimo tour.
Sons of Kemet propongono un mix originale fra musica africana, hip-hop, musica caraibica e giamaicana e jazz che già nei dischi si è rilevato tra i più interessanti degli ultimi anni ma che ascoltato dal vivo si contraddistingue per la potenza ritmica e la capacità di travolgere letteralmente il pubblico.
I due batteristi, Edward Wakili-Hicke e l’ottima Jay Kayser (che sostituisce Tom Skinner impegnato con Thom Yorke e Jonny Greenwood nel nuovo progetto post-Radiohead, The Smile) hanno intessuto un serratissimo tappeto percussivo poliritmico di matrice africana sul quale Theon Cross, al basso tuba, uno strumento recentemente tornato all’attenzione dei jazzisti anche grazie ai moderni sistemi di amplificazione, collocava le sue poderose linee di basso.
Shabaka Hutchings ha inserito su questi strati sonori parti di sassofono, effettate da echi e riverberi, prevalentemente ritmiche caratterizzate da cellule melodiche circolari e assoli di ispirazione free.
Echi di Sun Ra, Phaorah Sanders, del Miles Davis di “On the Corner” e del tardo Coltrane si scorgono nel sound complessivo del gruppo ma la proposta musicale di Sons of Kemet raccoglie varie influenze estratte dal crogiolo pan-africano della realtà multi-etnica della metropoli londinese dove generi musicali diversissimi danno luogo a nuove formule di contaminazione.
Il poliedrico Shabaka Hutchings sia con Sons of Kemet che alle prese con altri progetti importanti, come The Comet is Coming e Shabaka and the Ancestors, si dimostra, ancora una volta, una delle figure di spicco della popular music contemporanea.